lunedì 21 maggio 2018

Contratto a chiamata

Il contratto a chiamata, o job on call per gli appassionati anglofoni, o ancora lavoro intermittente per la normativa vigente, è quella forma di contratto atipico che ha fatto il suo ingresso nel mercato del lavoro del nostro Paese dalla Legge Biagi in poi, come le clausole elastiche e flessibili.
Nel commercio non è stato esplicitamente accolto dal contratto collettivo e per questo sono state giustamente molte le polemiche e i dubbi sulla legittimità del suo utilizzo nel nostro settore. Una delle aziende della GDO che ne fa uso smodato è di sicuro H&M, che come ricorderete lo scorso anno è stata protagonista della sua prima procedura di mobilità con scioperi e agitazioni in tutta Italia e pure a Torino.

Il contratto a chiamata è stato normato per la prima volta da un regio decreto del 1923 e veniva riservato ad alcuni settori residuali, includendo per esempio i commessi e le commesse dei negozi nel commercio ma nei soli centri abitati con meno di 25 mila abitanti, e stabilendo anche dei limiti di età precisi per i destinatari. La normativa successiva fino al jobs act ha definitivamente fissato i limiti di età dei possibili contraenti con quella tipologia (fino a 25 anni e oltre i 55) e le giornate di lavoro massime ammesse in un triennio, pari a 400.
In assenza di quei requisiti si deve trovare una forma contrattuale più congrua.
Il contratto a chiamata è molto utilizzato nel mondo del turismo, ma ha preso piede negli anni con alterne fortune anche in casa Decathlon...

Perché non ci piace?
  • Perché non garantisce ore di lavoro fisso e nessun conseguente reddito, né fisso né minimo, e nella maggior parte dei casi nessuna indennità di chiamata, diventando impossibile contare su quel tipo di lavoro che è però a tutti gli effetti un rapporto di lavoro attivo! Senza contare che per chi è a chiamata calcolare ferie, permessi, contributi, assegni familiari è un vero e proprio delirio da fare a consuntivo e non a preventivo...
  • Perché rende il lavoratore completamente in balia della chiamata del datore di lavoro, flessibilizzando la vita delle persone agli estremi e al punto che ormai è possibile attivare la chiamata anche via sms: uno svilimento del lavoratore!
  • Perché il lavoro richiesto nella maggior parte dei casi non è imprevedibile e flessibile come quel contratto, ma sarebbe programmabile e definibile con altri strumenti più decenti (contratto part time, per esempio): uno svilimento pure del lavoro!
Basta contratti a chiamata, contesteremo sempre la precarietà esasperata: vogliamo programmazione seria e organizzazione del lavoro: il sindacato fa questo! Quando il sindacato diventa collaborativo e si limita a ricevere comunicazioni dovute per legge e a monitorare i processi di iniziativa aziendale, non stiamo facendo un buon lavoro.
Il sindacato è rivendicazione, contrattazione, denuncia: i nuovi assunti sono già stati tartassati dal rinnovo del CCNL dal 2011 in poi (taglio dei permessi individuali per i primi 4 anni di assunzione), poi dalle tutele crescenti dal 2015, anche il contratto di lavoro intermittente mi pare troppo, no?

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