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martedì 24 novembre 2020

Prima di...

Tra le bozze di post del blog, dimenticato per oltre un anno, oggi ho trovato alcune mie considerazioni sintetiche sull'incontro tra Conte e Landini alle "Giornate del Lavoro" 2019.

Ho deciso di pubblicarlo comunque, perché ha il sapore del "prima di"...

Avete presente cosa intendo?

Lo scorso autunno, dopo la crisi di governo che portò alla nuova maggioranza M5S- PD e pose fine alla disastrosa alleanza M5S- Lega, gli argomenti di discussione nel mondo politico e sindacale erano proprio diversi da oggi.
Oggi abbiamo conosciuto la pandemia, la crisi economica che i fenomeni globali causano, l'impotenza davanti alla diffusione di malattie che non ricordavamo assolutamente e alcuni dei pensieri che facevamo sono irrimediabilmente cambiati, però, a pensarci bene...

Cosa ne è stato degli argomenti di allora? Sono risolti, superati oppure invece sono ancora reali e rimasti insoluti, aggravati semmai dal Covid 19 e dalla sua potenza di spazzare via gli ordini del giorno e gli impegni dalle nostre agende istituzionali e personali?

Ecco il post: mi scuso già per l'estrema sintesi e semplificazione di allora.


"Mi sono presa il tempo di ascoltare con attenzione il ‘colloquio’ Conte- Landini di domenica scorsa alle Giornate del Lavoro della Cgil. Ero curiosa, perché nella mia organizzazione l’entusiasmo per il nuovo Governo è palese, anche se non ne ho ben capito il motivo: cioè, capisco l’euforia di aver superato il pericolo Salvini, che però si è auto escluso per eccesso di arroganza, non certo perché è stato sconfitto, ma per il resto non posso essere convinta dalle promesse/ richieste di discontinuità allo stesso Presidente del Consiglio dei ‘decreti sicurezza’ o anche del ‘decreto dignità’...
Ecco perché ho ascoltato bene e se dovessi riassumere in modo sarcastico direi: Giuseppi Conte, uno di noi! 😬🤣
Senza riassumere troppo invece, convenevoli, onori di casa e giusta accoglienza a parte (concordo che non si possa invitare il Presidente del Consiglio per insultarlo), mi hanno piuttosto stupita i contenuti emersi dai due colloquianti.
Le parole chiave ricorrenti in risposta a domande un po’ troppo "pettinate" per venire formulate dalla platea di lavoratori e lavoratrici vertevano per lo più sui concetti di ‘fare insieme’, ‘fare sistema’, ‘patto tra attori coinvolti’, ‘sistema Italia’, ‘sistema partecipativo’...

Semplificando molto ho notato che:
  • non sono stati mai citati i ‘decreti sicurezza’ (!) e i ‘decreti dignità’ o le politiche del lavoro, magari rispetto al dramma dei lavoratori precari, ma solo il tema previdenziale (quota 100) e assistenziale (reddito di cittadinanza);
  • le questioni salariali sono state legate ai contratti collettivi e alla misura della rappresentanza erga omnes, ma non alla ‘dialettica’ lavoratori/ aziende;
  •  la riduzione dell’orario di lavoro è stata citata a fine chiacchierata una sola volta;
  • la legge Fornero è stata citata anch’essa una volta sola per la necessità di revisione (Landini), mentre per Conte sono da confermare ‘opzione donna’, il Fondo Nazionale per i Giovani e le carriere discontinue e la gestione separata e ‘quota 100’ non è altro che un modo di salvaguardare chi è stato fregato dalla Fornero come gli esodati.
Lievissima critica traspare rispetto allo ‘sblocca cantieri’ connesso al tema della legalità e del rischio di infiltrazioni mafiose e all’autonomia differenziata rispetto ai dettati costituzionali di uguaglianza dei cittadini, mentre grande armonia e accordo ho notato nella lunga parte di chiacchierata su riduzione del cuneo fiscale, lotta all’evasione e condoni, che però si è svolta senza mai senza citare la flat tax.
Altri argomenti tabù le politiche industriali e le grandi opere, mentre sono state citate alcune crisi aziendali come Manital e Mercatone.
Su ambiente e movimento Fridays for Future inquietante secondo me la dichiarazione di Conte per cui il movimento non può stare in strada, ma deve entrare nei palazzi, per poi omettere però di citare Ilva o Fca rispetto alla mobilità sostenibile.
Infine su salute e sicurezza annunciato pomposamente il confronto tra parti sociali e Ministeri del Lavoro e della Salute per mettere freno all’emergenza morti sul lavoro, ma anche qui assenti le responsabilità dei datori di lavoro e la conflittualità nelle aziende anche su questo punto.

Ora, io capisco che non si possono maltrattare gli ospiti, ma il diritto di critica dov’è finito? Come si fa ad alimentare questo clima di fiducia nel dialogo con un Governo ‘nuovo’ fatto di persone e opinioni note e vecchie?
E perché il conflitto è sparito dall’agenda del mio sindacato a priori, senza nemmeno aver iniziato il confronto, ma al solo segnale che il confronto- unitario- ci sarà?

L’intero video è pervaso dalla convinzione ottimistica che finalmente tutto verrà risolto dal buon senso e dal lavoro insieme: è una mia impressione?

Sono molto preoccupata perché Conte non è uno di noi!"


domenica 11 novembre 2018

Congresso Cgil: a che punto siamo?

Come ho scritto in post precedenti, l'estate e l'autunno 2018 sono stati impegnati dal XVIII Congresso della Cgil. Dopo la consultazione degli iscritti nei posti di lavoro, sono già terminate le istanze superiori, provinciali e regionali di categoria e il confederale di Torino. Mancano ancora il congresso nazionale della Filcams a fine mese di novembre e poi a gennaio la tappa finale della Cgil nazionale.
In prima persona ho avuto l'onore di partecipare in modo attivo a tutte la fasi, prima presentando il documento alternativo Riconquistiamo Tutto in 415 assemblee dal 16 luglio al 5 ottobre insieme a tanti altri delegate e delegati sindacali della Filcams in azienda come me (una vera impresa, contando che il documento di maggioranza viene appoggiato ed è stato presentato dai funzionari che a tempo pieno si dedicano all'attività sindacale un po' in tutta Italia), poi intervenendo ai congressi provinciali e regionali.

Sono stata eletta in vari direttivi e continuerò a portare il mio contributo, in Cgil come in azienda: vogliamo il contratto collettivo, ormai scaduto e quasi dimenticato da tutti, senza confidare negli accordi interconfederali che hanno solo introdotto deroghe mai viste nei nostri settori (ne riparlerò per bene, in altro post...); vogliamo riconquistare i diritti persi (l'articolo 18 per i nuovi assunti, ma anche il diritto al festivo, visto che ancora per chi è part time e flessibile avere una festività retribuita è un miraggio anche da Decathlon!); vogliamo condizioni di lavoro sicure e non raffazzonate; vogliamo orari di lavoro decenti e vogliamo smettere di sperare nel politico di turno che promette interventi legislativi ad hoc come per le domeniche lavorative; vogliamo autonomia e protagonismo nei posti di lavoro per tornare a chiedere livelli adeguati e chiarezza sulle mansioni.

Vogliamo anche chiaramente che la nostra Cgil combatta questo Governo becero, maschilista e razzista con una stagione nuova di mobilitazione senza timidezza.


Il mio intervento al congresso della Filcams Piemonte del 25 ottobre e quello al congresso della Cgil di Torino del 30 ottobre.

martedì 7 agosto 2018

Solidarietà a Paolo Brini

I giorni scorsi ho saputo che un Compagno della Fiom Cgil di Modena, Paolo Brini, è stato indagato per manifestazione non autorizzata e occupazione di un cinema abbandonato di proprietà ecclesiastica nella sua città, il tutto risalente allo scorso dicembre.

Francamente in un periodo storico in cui le aggressioni per motivi razziali, discriminatori o comunque futili (avete presente il lancio delle uova di Moncalieri e la boutade di pessimo gusto della giunta regionale ligure?) sono in crescendo continuo, oltre al clima di tolleranza e legittimazione da parte del Ministro degli Interni in primis verso atteggiamenti fascisti e xenofobi, non credo che un corteo non autorizzato di varie associazioni cittadine come quello possa essere un problema di serio ordine pubblico. I sindacalisti hanno sempre usato le occupazioni più o meno simboliche come strumento di lotta e presidi e sit in stessi non sono altro che occupazione di suolo pubblico.

Sono abituata a vivere in una città in cui l'occupazione di strutture inutilizzate dai proprietari per restituirle alla comunità cittadina è da sempre stata vista come una disobbedienza civile e ben accettata anche dalla Magistratura: ricordate via Asti? Ecco, voglio pensare che lo stesso atteggiamento guiderà il Tribunale modenese.

Per fortuna i "reati" di opinione da sempre in Cgil (come recita il nostro Statuto) sono esclusi da ogni tipo di reprimenda interna per i dirigenti e i militanti: del resto è una tutela a garanzia della libertà di rappresentanza e di azione. Forse va ricordato anche dalle parti di Modena...

Solidarietà al Compagno Brini!

domenica 15 luglio 2018

XVIII Congresso Cgil: si parte!

Come ho avuto modo di accennare tempo fa, il mio rientro dall'aspettativa sindacale coincide col congresso della Cgil: un lungo percorso che ha portato la nostra Organizzazione a elaborare due documenti alternativi per i prossimi 4 anni. Ogni quadriennio infatti tutta la Cgil discute delle proprie linee e azioni per il prossimo futuro e ricambia anche i ruoli di dirigenza e le persone che li ricoprono (che non possono mai restare in carica come Segretari, cioè "ministri" o "governatori", se dovessimo fare un paragone con la politica, più di due mandati congressuali di 4 anni):  il tutto viene affidato in modo democratico al voto di preferenza dei destinatari dei programmi, cioè i lavoratori e le lavoratrici, riuniti in assemblea sindacale nel loro posto di lavoro. Meglio di così!
Del resto il sindacato non è altro che un'associazione di lavoratori con lo scopo di autotutelarsi e darsi solidarietà reciproca, quindi devono essere i soci iscritti a dover scegliere cosa li rappresenta di più tra gli indirizzi proposti: mi pare il minimo sindacale!
Entrambi i documenti ovviamente prendono le mosse da quanto è successo nei 4 anni passati e dai risultati ottenuti oppure da quanto è peggiorato ed è ancora da affrontare. Ed è proprio da questa premessa che io ho fatto la mia scelta e insieme a tanti altri delegate e delegati della Filcams, la categoria del commercio e terziario a cui sono iscritta, ho scelto di appoggiare il documento "di minoranza" intitolato Riconquistiamo Tutto, cioè quello che alla presentazione ha raccolto meno adesioni tra i dirigenti sindacali già eletti negli organi direttivi uscenti dallo scorso quadriennio, sia funzionari a tempo pieno della Cgil (come sono stata io dal 2013 a pochi mesi fa), sia in misura numericamente inferiore delegati dai posti di lavoro.
In un appello che abbiamo pubblicato on line si trovano alcune delle motivazioni di questa scelta, ma la ragione più semplice e generale è una sola: non possiamo continuare ad aspettare con rassegnazione che le cose cambino e la politica si occupi di lavoro; dobbiamo essere autonomi dalla politica e riprendere la nostra capacità di azione sindacale più arcaica e autentica e tornare a protestare e scioperare.
Legge Fornero e Jobs Act hanno cambiato il mondo del lavoro, ci siamo impoveriti e abbiamo meno diritti: la strategia usata finora non è bastata. Tutto qui.

Non amo parlare di candidati illustri o di chi sarà il prossimo Segretario Generale dopo Susanna Camusso, questo tipo di visione interessa forse di più la stampa o l'opinione pubblica, perché un leader noto è sempre una notizia; a me interessa di più capire cosa farà il prossimo rappresentante nazionale massimo della mia Organizzazione e come, entrambe cose che verranno indicate dal passaggio congressuale di base, non certo su sua iniziativa (altrimenti avremmo fondato una monarchia sindacale, no?).

La sintesi del documento che ho scelto di appoggiare individua in 10 parole d'ordine il programma che dovremmo portare avanti tutti insieme. In questo post in brevissimo parlerò delle prime 3 e di come si possono declinare per un lavoratore di Decathlon come me (per il testo integrale seguite i link sopra).

#contratto&salario
Il contratto collettivo nazionale è l'unico strumento equo e non calato dall'alto per concessione (come fanno invece le aziende) per definire diritti, regole e aumenti dello stipendio. Il nostro contratto collettivo è scaduto dal 31 dicembre del 2013 ed è rimasto fermo senza alcun avanzamento; i nuovi assunti sono i più tartassati, ma nessuno sta meglio, soprattutto dalle liberalizzazioni in poi: vogliamo tornare a chiarezza e diritti attraverso il contratto collettivo per non perdere ancora salario e potere di acquisto.

#altraEconomiaPolitica
L'Europa dovrebbe essere promotrice di pace e integrazione; dovrebbe esportare democrazia e diritti, anche per i lavoratori e le lavoratrici. Invece i sindacati europei hanno un ruolo marginale, di pura informazione attraverso i Cae e non certo una funzione rivendicativa; non esiste parità tra come si muovono le aziende per evitare tasse e costi della manodopera e come invece si possono ottenere diritti maggiori per tutti. Vogliamo tassazione giusta delle rendite e dei capitali e più potere a chi lavora in Europa.

#pensioni
La Legge Fornero è fortemente ingiusta e va abolita: non si può lavorare fino a 67 anni o per 43 anni, pensando che se l'aspettativa di vita cresce, allora si può lavorare sempre di più! Per chi è part time poi la situazione sarà tragica...

To be continued...

martedì 26 giugno 2018

Il jobs act secondo loro

Dal mio rientro al lavoro dall'aspettativa a maggio scorso ho ritrovato quasi tutti i colleghi che avevo lasciato, a parte i non pochi che si sono dimessi per fare un altro lavoro, magari più vicino a percorso di studi e aspirazioni.
Di sicuro c'è stata una contrazione delle assunzioni e l'organico si è ridotto rispetto a qualche anno fa, ma ci sono stati comunque dei nuovi ingressi.

Così, come era intuibile, alcuni dei miei colleghi più giovani sono assunti col Jobs Act, cioè con le tutele crescenti e un articolo 18 meno efficace ed esteso che si guadagna con tre anni di buona condotta e ricattabilità. I nuovi assunti in tutta la contrattazione collettiva ormai stanno pagando il prezzo della sostenibilità del turn over, infatti sono stati bersaglio dal 2011 in poi nei CCNL del terziario di tagli a permessi e ROL (commercio e turismo) e comunque dell'aumento dell'orario di lavoro settimanale (distribuzione cooperativa), facendo così scendere il costo del lavoro e ottimizzare la produttività a scapito dei carichi di lavoro e delle condizioni di sicurezza. Questi interventi, uniti alle tutele crescenti dal 2015 (che francamente senza il doping degli sgravi alle aziende non hanno nemmeno alcun senso di esistere, se pure li si giudicasse positivamente), sembrano dire ai nostri colleghi più giovani: "Dovresti ancora ringraziare: ti assumo oggi che c'è ancora l'onda lunga della crisi economica globale, vorrai mica avere gli stessi diritti degli altri!"
Questa ratio in parte viene accolta con un sospiro di sollievo da chi è già in azienda, perché le controparti riescono anche a far passare il messaggio che mantenere il "benessere" di alcuni non possa non derivare da un piccolo sacrificio dei più giovani. La frattura tra generazioni di lavoratori è stata così rafforzata, senza tenere conto degli anni di precariato che tutti a tempo debito hanno dovuto subire prima di arrivare all'assunzione a tempo più o meno indeterminato.

Ora, chiacchierando con i miei "nuovi" colleghi in giro per il negozio e la sala pause, le opinioni che ascolto sono piuttosto interessanti, non so quanto rappresentative, ma comunque degne di attenzione da parte di una delegata sindacale: secondo alcuni, non sono un problema l'articolo 18 e le tutele crescenti, perché tutto sommato il clima attuale nella nostra azienda non è così grave (non credo invece che altrove in tutte le aziende si possa dire lo stesso), ma il problema è la precarietà precedente e posteriore a quel contratto che formalmente comunque è a tempo indeterminato: prima, perché come sempre i datori di lavoro mettono alla prova capacità, resa e fedeltà dei loro dipendenti con tutti i contratti a tempo determinato possibili e immaginabili; dopo eventualmente, perché il mercato del lavoro è fermo e immobile e non si trova molto se non occasioni uniche di stage e simili...
Insomma l'articolo 18 a detta di alcuni miei contatti (non renziani, lo giuro!) è davvero un feticcio, dal momento che oltre i diritti dovrebbe esserci la condizione di esigerli, cosa che invece i lavoratori e le lavoratrici del nostro Paese, soprattutto se giovani e formati non hanno.
Il part time, le pensioni che non ci saranno, l'incertezza di stare appesi al filo delle chiusure aziendali, il mercato del lavoro bloccato, questi sono i problemi a monte.
Contro le tutele crescenti l'unica cura sono la solidarietà e la contrattazione, anche attraverso il conflitto: quanti vecchi assunti sarebbero pronti a lottare per questo?
Se la vostra risposta è nessuno, allora hanno vinto loro, i padroni: ci hanno davvero diviso senza sforzi.

lunedì 25 giugno 2018

A proposito di Concetta Candido

Qualche mese fa sono riuscita finalmente a leggere il libro di Gad Lerner sulla storia di Concetta Iolanda Candido, che è tornata a casa qualche settimana fa dopo un ricovero di mesi nel sospiro di sollievo di una comunità intera, la stessa che lo scorso anno, nei giorni successivi al suo fatidico gesto allo sportello dell'Inps di Corso Giulio Cesare, l'aveva ignorata, sindacato compreso. Nella storia di Concetta ho trovato molto della mia esperienza quotidiana prima del rientro in azienda a maggio: Concetta è stata per anni una lavoratrice del settore multiservizi che anche io ho seguito in questi anni e il locale in cui lavorava è molto noto e applica il contratto collettivo dei pubblici esercizi, che anche ho avuto modo di seguire alla Filcams. Conosco il patronato, l'ufficio vertenze, i legali citati e tutto il contesto raccontato nel libro.
Sono rimasta molto colpita dal fatto che forse la tragedia di Concetta si sarebbe potuta evitare, se almeno una sigla sindacale avesse chiesto l'esame congiunto previsto dalla legge (l'articolo 47 della 428 del 1990), quando la sua azienda ha proceduto a riorganizzare la struttura col rientro in gestione diretta di gran parte dei dipendenti tranne il ramo pulizie, esplicitando la volontà di licenziare le 4 addette alle pulizie tra cui Concetta. Forse si sarebbe potuta contestare la procedura, chiedere che l'appaltatrice che ha poi preso in gestione il servizio di pulizie assumesse le lavoratrici già presenti, come è previsto dall'articolo 4 del contratto collettivo del multiservizi al cambio appalto, e in caso di rifiuto il sindacato avrebbe potuto chiudere con un mancato accordo e magari con una segnalazione all'Ispettorato del Lavoro.


Concetta Jolanda poteva essere una "mia iscritta", una delle delegate degli appalti che seguivo fino a pochi giorni fa, come Ada, Maria, Luciana, Mary, Stefania, Rosa e tutte le altre fantastiche donne che lavorano sodo per guadagnare troppo poco, ma fanno un lavoro essenziale di cui nessuno può fare a meno.
Poteva essere un'iscritta della Filcams a non aver ricevuto la Naspi in tempi decenti, perché la Naspi non è immediata, ha tempi lunghi e viene spesso rifiutata, non solo quando si è in malattia come Concetta, ma anche quando ci si dimette per giusta causa oppure quando si viene trasferiti.
Poteva essere un'iscritta della Filcams ad essere trasferita, esternalizzata, impoverita dai continui cambi di gestione e dai passaggi in cooperativa, fiaccata dalle condizioni salariali e materiali ai limiti della povertà: nel settore la media è di 15 ore a settimana di lavoro, con 3 ore al giorno per 5 giorni dalle 6 alle 9 del mattino o giù di lì, ma continui tagli delle ore negli anni, una paga oraria lorda di 7,21 € per livello e mansioni più diffuse e un contratto collettivo scaduto da 5 anni!
Concetta per me è diventata un simbolo al cui giudizio non riesco a sottrarmi: la sua fragilità è quella di un'intera porzione del mondo del lavoro, è la mia fragilità di lavoratrice part time della Grande Distribuzione.

Invece a Torino dopo il suo gesto estremo quasi con vergogna si è tirato avanti, perché l’understatement sabaudo non ama i gesti dimostrativi così disperati e tipici dei poveri del Sud del mondo (me li ricordo negli anni ‘80, quando ancora facevano notizia al TG1 delle 20 gli episodi di autoimmolazione col fuoco in Italia Meridionale, poi il nulla...), la città non ama ricordarsi delle periferie.
E la pietas? Non è sentimento signorile e nordico?
Lo slogan che usiamo tanto in questi mesi di tragedie dell'umanità e che condivido intimamente è restiamo umani (mi ricorda tanto quel classico homo sum, nihil humani mihi est alienum), ecco, oltre che uno slogan dovrebbe essere una prassi delle Organizzazioni al servizio delle donne e degli uomini e dei loro diritti: stare vicini agli esseri umani in questo momento storico è l'unico modo per tendere all'inclusione e all'estensione dei diritti e non solo alla conservazione dell’esistente.
Niente è peggio del professionismo senza sentimenti: quanti danni si fanno se si è persone e sindacalisti scadenti?

Forza Concetta!

sabato 2 giugno 2018

Generazione part time

Il negozio dove lavoro è aperto dal 1998 ed è stato uno dei primi del nostro marchio in Italia. Alcuni miei colleghi sono stati assunti da allora e quest'anno festeggiano i 20 anni di lavoro con Decathlon: a quei tempi venivano assunti addirittura commessi full time, cosa che già qualche anno dopo era impensabile perché la flessibilità del part time aveva conquistato tutti, nostro malgrado, e il massimo che si potesse ottenere per lavorare come addetto alla vendita erano le 24 e raramente le 30 ore settimanali. La quantità di lavoro, infatti, è stata sempre assoggettata a vari criteri aziendali come la crescita interna o la docilità, non certo al banale e oggettivo carico di lavoro e la sua distribuzione equa.
Nulla di nuovo sotto il sole, sono molte le aziende della GDO che si muovono su schemi simili, così come sono molte quelle che mostrano un atteggiamento collaborativo e friendly, ambienti dove tutti si danno del "tu" e possono fare dei feed back (critiche, commenti, contestazioni!) a tutti: capirai che democrazia!
Io che amo le parole ho sempre contestato i lessici aziendali, sin da quando ero delegata anni fa, poi come funzionaria della Cgil e infine come Segretaria della Filcams, non ho mai tollerato esuberanze e ipocrisie nelle parole di alcune "culture" e stili aziendali: per esempio non mi sono mai sentita una collaboratrice, ma una lavoratrice.

Ma tornando alla questione principale, come si vive un'esistenza con un lavoro part time? Come si fa a ottenere autonomia economica e progettare un futuro, oppure solo stare tranquilli?
Il tema non è soltanto caro alla grande distribuzione, dove comunque i minimi contrattuali sono sopra le 18 ore (salvo le aziende più piccole o le deroghe per gli studenti- lavoratori), ma coinvolge centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori nei settori del turismo e degli appalti (pulizie, custodia, vigilanza armata, mense aziendali...) e rappresenta un problema sociale rispetto al reddito prodotto, sempre troppo basso, ma anche al presente e  futuro previdenziale: come si sostiene il sistema pensionistico attuale con contribuzioni part time e precarie, magari a chiamata oppure in gestione separata o parautonoma? Che pensione avranno i lavoratori che oggi fanno un part time al di sotto del minimo contributivo, se dovranno maturare il requisito non in base alla loro retribuzione, come avveniva prima del 1993, ma proporzionalmente a quanto hanno versato all'Inps? Secondo alcuni calcoli verosimili l'assegno di pensione potrebbe essere di circa il 60% dello stipendio part time!
Non ci aspetta un futuro roseo... E le donne sono sicuramente messe peggio, intanto perché meno facilmente raggiungeranno avanzamenti di carriera, livello e paga e poi perché avranno molto probabilmente periodi di contribuzione figurativa legata alla maternità.

Ecco perché quasi tutti i miei colleghi hanno almeno un'altra attività, di solito di tipo autonomo o parasubordinato (impossibile conciliare un lavoro dipendente con le clausole elastiche e flessibili!) per provare a sbarcare il lunario e quadrare i loro conti: c'è chi si occupa di sport come allenatore, istruttore, personal trainer, maestro di sci; chi fa il fisioterapista, massaggiatore, osteopata; chi studia ancora; chi è architetto, educatore, baby sitter, etc etc.
Un mare magnum di lavoro, sacrifici, corse e tempi stretti: altro che choosy!
Le carriere discontinue e precarie sono un problema di un'intera generazione di 30/40enni, che hanno una scolarizzazione alta ma non possono nemmeno riscattare gli anni di studio a buon mercato: ci avrà pensato qualcuno?

I cosiddetti manager nella GDO non se la passano tanto meglio: di sicuro sono dei full time con dei livelli più alti di inquadramento, ma forfettizzano decine di ore mensili con responsabilità non dovute; inoltre fior di laureati in materie giuridico- economiche si ritrovano un'etichetta che parla di gestione aziendale, ma che per lo più sa di commerciale. Chissà se era quello che si aspettavano o se anche la loro corsa si è arrestata per i stessi bisogni dei loro colleghi venditori: la solidarietà non guasta mai e nemmeno la consapevolezza.

lunedì 14 maggio 2018

Solidarietà ai fattorini di Foodora

Quando si parla di gig economy e lavoretti ormai tutti pensano a loro, i riders di Foodora: un po' poco occuparsene solo come prova del disfacimento dei diritti e delle tutele, oppure come esempio della tirannia dell'algoritmo sulle persone. Sarebbe necessario conoscere chi lavora da Foodora e aziende simili e soprattutto provare a capirne esigenze e problemi, a maggior ragione se scarichiamo un'app e facciamo un ordine per la cena nel nostro quotidiano...

Molto preoccupante è la sentenza del tribunale del Lavoro di Torino dell'11 aprile scorso secondo cui i riders di Foodora sarebbero da considerarsi collaboratori autonomi e non lavoratori subordinati, come invece i 6 ex lavoratori torinesi hanno cercato giustamente di dimostrare. Secondo i giudici di primo grado quel tipo di lavoro viene gestito in autonomia dai fattorini con il proprio mezzo e non è accertato il potere di controllo e di subordinazione instaurato.
Di sicuro si tratta di un precedente molto pericoloso per tutte le lavoratrici e i lavoratori del Terziario 4.0 (che sono e saranno sempre di più, dalle piattaforme logistiche al cambiamento della distribuzione organizzata, che ormai prevede in ogni punto vendita un picking point per gli acquisti on line, ma a carico degli stessi dipendenti di ieri e di domani), in quanto la storia dei riders torinesi sembra mostrare chiaramente che questi lavoratori e lavoratrici, oltre a subire una costante pressione psicologica, sono totalmente assoggettati al datore di lavoro attraverso la app aziendale che controlla e gestisce spostamenti e “produttività”, inoltre indossano una divisa e sono sottoposti a rapporti gerarchici inequivocabili, come tutti i lavoratori subordinati.

Mi unisco perciò al coro di chi esprime la massima solidarietà e chiede che venga riconosciuto il rapporto di lavoro subordinato e di conseguenza il reintegro al lavoro di questi lavoratori e lavoratrici, ma in parallelo è necessario e urgente che ci si occupi del lavoro di tutti i dipendenti di Foodora: che possano lavorare in condizioni dignitose, del tutto diverse da quelle testimoniate, per esempio rispetto al compenso che ammonta a 2.70 € a consegna!
Una soluzione in questo senso secondo alcuni potrebbe arrivare dall'attività del sindacato internazionale: infatti di poche settimane fa è la costituzione del Comitato Azienda della Societas Europea del gruppo a cui appartiene anche Foodora, con sede a Berlino. L'accordo di costituzione del nuovo organo di livello sovranazionale prevede alcuni principi di partecipazione attiva dei lavoratori al controllo delle aziende e il diritto all'informazione sulle dinamiche aziendali e sulle procedure, ma non viene assegnato nessun potere e ruolo nella contrattazione di condizioni minime rispetto a salario, orari, etc che invece restano competenze nazionali.
Di sicuro è un inizio di relazioni, ma può incidere sulla realtà attuale? E come?

Al momento solo la partecipazione diretta con l'iscrizione al sindacato sembrerebbe una strada percorribile verso il miglioramento della condizione esistente... Ma a quale sindacato se il lavoro è autonomo? E soprattutto: come non farsi "disattivare" nel frattempo come successo ai 6 torinesi ricorsi in giudizio?
Bisogna rispondere a queste domande prima di parlare di algoritmo, altrimenti è solo incomprensione e solitudine.

mercoledì 9 maggio 2018

Solidarietà ad Alex

Due giorni fa ho scritto un post sulla notizia del reintegro di un RSU della Fiom licenziato ingiustamente per colpire la sua attività sindacale in azienda, ma nella nostra regione la storia si è di nuovo ripetuta: alla Sacal di Carisio (Vercelli) un delegato sindacale e RLS, Alex Villarboito, è stato licenziato con motivi pretestuosi.
Oggi primo giorno di sciopero, a una settimana dal suo allontanamento, per chiedere l'annullamento del licenziamento e il suo rientro in azienda.
Nel frattempo sta girando una petizione di alcuni compagni della Cgil Toscana  con la medesima richiesta, vi copio il testo qui di seguito e le istruzioni.

Perché nel Paese in cui si continua a morire di lavoro senza sosta, occuparsi di sicurezza in azienda per qualcuno è un problema? Siamo consapevoli della grave responsabilità delle aziende su questo tema?
Sono stata RLS dal 2010 e nella mia esperienza come funzionaria sindacale ho avuto la delega su salute e sicurezza alla Filcams di Torino, so benissimo che è centrale nella contrattazione introdurre idonee misure di tutela della salute, ma che da sempre sono mal sopportate dalle logiche aziendali: continuare a premere con serietà è il minimo richiesto ai RLS, nella difficoltà quotidiana che si incontra.
Il sindacato deve denunciare con convinzione che la sicurezza non è un ostacolo che si frappone a produttività e profitto: prima le persone, sempre. Prima i diritti!

Forza Alex, continua a lottare, noi ci siamo!



'PETIZIONE PER IL REINTEGRO DELL'RLS ALEX VILLARBOITO

Spett.le azienda Sacal Alluminio di Carisio,

Vi chiediamo il reintegro, dell'operaio, nonché Rls, Alex Villarboito. Questo e' un attacco a tutti gli Rls. Se un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza non può più' permettersi di raccontare ai quotidiani del gravissimo infortunio sul lavoro accaduto nella vostra azienda, dove Alex lavorava fino a pochi giorni fa (Il 2 Maggio e' stato licenziato), significa che siamo messi davvero male. Questo vostro licenziamento ci porta a fare delle riflessioni.
Quando persino un rappresentante dei lavoratori alla sicurezza sul lavoro viene licenziato( e non responsabile dei lavoratori per la sicurezza, come e' stato scritto erroneamente da più' quotidiani) per aver denunciato la scarsa sicurezza sul lavoro della sua azienda, significa che le tutele non ci sono più'.Poi non stupiamoci che ci sono sempre più morti sul lavoro.Chi ha voluto il jobs act, voleva un lavoro sempre più flessibile. Col jobs act nella sostanza è venuto meno il principio di tutele previste dal d.lgs 81/08, nella sostanza un Rls che denuncia o fa una vertenza per la sicurezza può essere sempre licenziato senza giusta causa e questo va contro i principi di garanzia previsti dalla norma e denatura una figura che insieme ad altre dovrebbe essere garante della sicurezza dei lavoratori.
Questi sono i risultati.

Marco Bazzoni-Operaio metalmeccanico e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza-Firenze.

PS. Chi vuole aderire all'appello, inviare una mail a marco.bazzoni01@libero.it indicando nominativo, azienda, qualifica e città.'