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sabato 2 giugno 2018

Generazione part time

Il negozio dove lavoro è aperto dal 1998 ed è stato uno dei primi del nostro marchio in Italia. Alcuni miei colleghi sono stati assunti da allora e quest'anno festeggiano i 20 anni di lavoro con Decathlon: a quei tempi venivano assunti addirittura commessi full time, cosa che già qualche anno dopo era impensabile perché la flessibilità del part time aveva conquistato tutti, nostro malgrado, e il massimo che si potesse ottenere per lavorare come addetto alla vendita erano le 24 e raramente le 30 ore settimanali. La quantità di lavoro, infatti, è stata sempre assoggettata a vari criteri aziendali come la crescita interna o la docilità, non certo al banale e oggettivo carico di lavoro e la sua distribuzione equa.
Nulla di nuovo sotto il sole, sono molte le aziende della GDO che si muovono su schemi simili, così come sono molte quelle che mostrano un atteggiamento collaborativo e friendly, ambienti dove tutti si danno del "tu" e possono fare dei feed back (critiche, commenti, contestazioni!) a tutti: capirai che democrazia!
Io che amo le parole ho sempre contestato i lessici aziendali, sin da quando ero delegata anni fa, poi come funzionaria della Cgil e infine come Segretaria della Filcams, non ho mai tollerato esuberanze e ipocrisie nelle parole di alcune "culture" e stili aziendali: per esempio non mi sono mai sentita una collaboratrice, ma una lavoratrice.

Ma tornando alla questione principale, come si vive un'esistenza con un lavoro part time? Come si fa a ottenere autonomia economica e progettare un futuro, oppure solo stare tranquilli?
Il tema non è soltanto caro alla grande distribuzione, dove comunque i minimi contrattuali sono sopra le 18 ore (salvo le aziende più piccole o le deroghe per gli studenti- lavoratori), ma coinvolge centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori nei settori del turismo e degli appalti (pulizie, custodia, vigilanza armata, mense aziendali...) e rappresenta un problema sociale rispetto al reddito prodotto, sempre troppo basso, ma anche al presente e  futuro previdenziale: come si sostiene il sistema pensionistico attuale con contribuzioni part time e precarie, magari a chiamata oppure in gestione separata o parautonoma? Che pensione avranno i lavoratori che oggi fanno un part time al di sotto del minimo contributivo, se dovranno maturare il requisito non in base alla loro retribuzione, come avveniva prima del 1993, ma proporzionalmente a quanto hanno versato all'Inps? Secondo alcuni calcoli verosimili l'assegno di pensione potrebbe essere di circa il 60% dello stipendio part time!
Non ci aspetta un futuro roseo... E le donne sono sicuramente messe peggio, intanto perché meno facilmente raggiungeranno avanzamenti di carriera, livello e paga e poi perché avranno molto probabilmente periodi di contribuzione figurativa legata alla maternità.

Ecco perché quasi tutti i miei colleghi hanno almeno un'altra attività, di solito di tipo autonomo o parasubordinato (impossibile conciliare un lavoro dipendente con le clausole elastiche e flessibili!) per provare a sbarcare il lunario e quadrare i loro conti: c'è chi si occupa di sport come allenatore, istruttore, personal trainer, maestro di sci; chi fa il fisioterapista, massaggiatore, osteopata; chi studia ancora; chi è architetto, educatore, baby sitter, etc etc.
Un mare magnum di lavoro, sacrifici, corse e tempi stretti: altro che choosy!
Le carriere discontinue e precarie sono un problema di un'intera generazione di 30/40enni, che hanno una scolarizzazione alta ma non possono nemmeno riscattare gli anni di studio a buon mercato: ci avrà pensato qualcuno?

I cosiddetti manager nella GDO non se la passano tanto meglio: di sicuro sono dei full time con dei livelli più alti di inquadramento, ma forfettizzano decine di ore mensili con responsabilità non dovute; inoltre fior di laureati in materie giuridico- economiche si ritrovano un'etichetta che parla di gestione aziendale, ma che per lo più sa di commerciale. Chissà se era quello che si aspettavano o se anche la loro corsa si è arrestata per i stessi bisogni dei loro colleghi venditori: la solidarietà non guasta mai e nemmeno la consapevolezza.

mercoledì 16 maggio 2018

Clausole elastiche

La legge "Biagi" (approvata poi col Decreto Legislativo 276/ 2003) aveva introdotto  per la prima volta nella nostra legislazione le clausole elastiche e flessibili per i contratti part time.

Nato come contratto atipico (se al contrario quello tipico per definizione è il full time, anche se oggi ci sembra quasi incredibile scriverlo!) il part time per anni è stato considerato come un'occasione per conciliare tempi di vita e di lavoro e come tema esclusivamente delegato alle donne e alla contrattazione di genere. Per ottenere una maggiore tutela era previsto che gli orari venissero depositati presso gli Ispettorati del Lavoro e di fatto "bloccati" per impedire  abusi e precarietà: soprattutto la tutela dell'orario era considerata un diritto inviolabile che poteva permettere nel restante tempo di lavoro possibile di studiare, oppure di avere un'altra attività lavorativa, oppure ancora di prendersi cura dei carichi familiari.
Questo impianto di norme ha iniziato a essere intaccato nei primi anni 2000 dalle clausole elastiche e flessibili, con cui l'azienda con un'indennità di scarso rilievo economico poteva accaparrarsi la possibilità di variare gli orari di lavoro sia nella giornata sia nella settimana con un preavviso minimo di 48 ore. Chi aveva già allora un contratto part time aveva il diritto di sottoscrivere separatamente e dietro assistenza della rappresentanza sindacale le mitiche clausole, ma sappiamo benissimo che quasi nessuno,  soprattutto i primi tempi di applicazione della legge, ne ha avuto piena consapevolezza, come del resto chi se l'è trovate all'assunzione come me: bè, non è che potessi vantare molto potere contrattuale, o si firma oppure chissà se ti assumono...
Negli anni della crisi economica e della liberalizzazione più totale il part time non è più nè residuale nè voluto, ma viene imposto dalle aziende della grande distribuzione e del commercio per avere più flessibilità possibile (ce lo dicono continuamente che servono più teste che ore), oppure per parare alle riduzioni dei servizi al posto degli ammortizzatori sociali nel mondo appalti e non soltanto.

Le donne ne hanno fatto le spese in termini sia salariali sia contributivi... Come sempre!

Nel 2011 viene anche abolita la tutela del deposito degli orari e la variazione viene gestita in pieno per accordo tra le parti e nel 2012 la legge Fornero (la 92 del 2012) peggiora ulteriormente la condizione del part time. Unico dato positivo: si aggiunge un nuovo motivo per recedere dalla flessibilità e tornare all'orario fisso, inserendo i motivi di studio.
Il jobs act ha definitivamente riformato le clausole elastiche e flessibili, definendole ormai solo elastiche, ma intendendole come piene e compiute.

Che fare quindi?
Il contratto collettivo del commercio (che poi si chiama Terziario Distribuzione e Servizi, TDS) aveva già introdotto la normativa nel periodo 2004/2008, prevedendo la possibilità di recedere dalle clausole con "denuncia" scritta almeno 30 giorni prima per alcune motivazioni, tra cui i gravi motivi di salute e i carichi di famiglia (come da regolamento 278 del 2000 alla Legge 53 del 2000 sui congedi), con il ritorno all'orario inizialmente concordato in lettera di assunzione o nell'ultima variazione del contratto individuale.
10 € al mese di indennità valgono la flessibilità più esasperata? Vale la pena tornare a un orario fisso? Di sicuro la questione orari e conciliazione è il grande problema di tutti i part time della grande distribuzione, soprattutto voglio qui sfatare un grande inganno che ogni tanto sento declamare dalle aziende: la flessibilità non è uno strumento equamente in mano ai due contraenti, ma è solo in capo al datore di lavoro! Altrimenti dovreste dare voi i 10 € di indennità alla vostra azienda!
Questo argomento di solito viene usato per tranquillizzare i lavoratori su come verranno modificati gli orari in azienda, ma fino a che punto ci si può fidare? E se la vostra interfaccia cambia, gli equilibri saltano e vi restano solo la legge e il contratto? Allora sono cavoli amari, credetemi!

Solo la contrattazione integrativa potrebbe recuperare condizioni migliori: quando per Decathlon?


Modello di lettera di denuncia delle clausole elastiche